Lo Zen

l Buddismo Chan, nasce in Cina con l'arrivo di Bodhidharma il ventottesimo successore del Buddha, nel 6° secolo d.c. nel monastero di Shaolin dove nacque anche il Gong Fu (kung fu). Sin dalle origini, il buddismo è un tipo di spiritualità fondata sulla prassi.Tutte le indicazioni, gli insegnamenti che ci giungono dal Fondatore hanno alle spalle la raccomandazione: non ti fidare, non ci credere solo perché l'ho detto io, metti in pratica e verifica sulla base della tua esperienza, "affidare se stesso a se stesso", cfr. Dhammapada 160.
Detta in un altro modo: "Siate lampada per voi stessi, prendete rifugio in voi stessi e non in altro" Bendowa.
Ciononostante in India si cominciò a mettere ordine agli insegnamenti del Buddha in forma scritta creando una mole di testi esagerata. "Sebbene in essi fosse esposta la teoria, dal momento che non erano accompagnati da un esempio vivente di pratica realmente applicata, la base dell'insegnamento di Śākyamuni divenne poco chiara." "Con il fare zazen si può manifestare il giusto modo di essere la vita, invece il ripetere le parole degli antichi testi è come il gracidare delle rane nelle risaie a primavera." Bendowa Dogen
L'eccesso di testi tuttora crea l'effetto opposto confonde,distrae e distoglie il praticante dal cuore del messaggio buddista che da pratica si trasforma in dottrina.
Così i sila, i precetti diventati imprescindibili per i monaci del Theravada, (esistono 250 precetti per i monaci e ben 328 per le monache). Nello Shodoka, a tal proposito Yoka Daishi dice:
"Il praticante Hinayano è dedito alla via, ma l'amore universale gli fa difetto.
L'intelligenza e il sapere mancano di saggezza profonda.
Essi non ottengono niente scambiando per la luna il dito che la mostra.
Mescolano e confondono volontariamente il mondo oggettivo e soggettivo."
È un modo per tenere legate i praticanti, la libertà fa paura all'uomo comune.
Il buddismo Chan, forte dell'influenza del taoismo e del confucianesimo, non creò alcun testo di riferimento particolare anche se tre piccoli libri lo Shin Jin Mei "sulla fede nello Spirito" , la prima opera zen, lo Shodoka, "il cantico della via che conduce al risveglio" e Hannya Shingyo "il Sutra del cuore" sono quelli più venerati e studiati.
Inoltre per la scuola Soto sono molto importanti i testi del riformatore Dogen.
Lo zen basa la sua continuità soprattutto sul rapporto da persona a persona "I shin den shin" (dalla mia anima alla tua anima). È la capacita di edificare Buddha nella propria vita, in un processo che avviene, non tanto dallo studio dei testi, quanto dal confronto quotidiano e dalla condivisione della vita con coloro che hanno ricevuto la medesima formazione dalla generazione precedente. Ecco perché è ricco di testi basati su conversazione tra maestri e allievi, domande e risposte che possono chiarire dubbi ed essere d'aiuto per tutti. Eccone un esempio:
Seigen domandò al Sesto Patriarca: "Come possiamo praticare senza cadere nel distinguere in categorie?"
Il Patriarca chiese: "Che cosa hai praticato finora?"
Seigen rispose: "Non pratico neppure la suprema verità."
Il Patriarca chiese: "In quale categoria sei caduto?"
Seigen disse: "Non pratico neppure la suprema verità. Come è possibile avere una qualsiasi categoria?"
Il Patriarca disse: "Proprio così! Proteggilo e mantienilo con cura." (Keitoku-Dentōroku)
lo Zen ha inizio dove ci si libera dalle parole che lo interpretano e ne spiegano la teoria. Ci si limita a star seduti in silenzio, poiché lo Zen si deve comprendere attivamente, attraverso l'esperienza diretta, poiché è impossibile, spiegare a parole ciò che nella realtà si trova dietro alle parole stesse. E, se pure si provasse a spiegarlo con le parole, questo potrebbe creare sciocca credulità, confusione e malintesi. Ciononostante la tentazione è forte e le librerie sono piene di testi sullo zen.
Se non si è avuto l'esperienza di una cosa, anche se viene spiegata bene non si è in grado di coglierla. L'esperienza personale è un passaggio necessario, irrinunciabile
lo zio di Kodo Sawaki, fabbricante di sake, gli chiese un giorno: "che cos'è lo zen?"
"non posso spiegartelo a parole è molto difficile."
"Penso allora che sia come per il sake. Ho studiato molto come fare il sake, ho cercato numerosi metodi fatto numerose esperienze e, a poco a poco, ho imparato a fabbricare del buon sake. Mi riuscirebbe difficile spiegare come faccio, se non con la pratica."
In un testo antico, l'Alagaddūpama sutta, ovvero Il discorso dell'esempio del serpente d'acqua, l'insegnamento del Buddha viene paragonato ad una zattera costruita per raggiungere l'altra sponda, e vi si dice che, una volta che quella sponda e raggiunta, invece di caricarsi la zattera sulle spalle portandola con noi, la zattera va abbandonata.
In modo più esplicito, questo significa che non bisogna avere attaccamenti anche verso il maestro i compagni e la legge, bisogna lasciar andare il dharma e tutto ciò che è funzionale e proseguire da soli. Nella prassi è già contenuto il dharma.
Per questo motivo il principiante che non conosce nulla ha una marcia in più rispetto all'esperto che ha già creato i suoi schemi, le sue tracce, i suoi attaccamenti. "Nella mente di principiante ci sono molte possibilità, in quella da esperto poche".Shunryu Suzuki-Roshi. Il principiante è più spontaneo. "Gli esperti spesso non colgono quello viene colto da chi non è del mestiere, grazie ad una mente più vuota e libera da aspettative e concetti preconfezionati provenienti da anni ed anni di studi." Prof. Del Giudice
Da un racconto zen:
"Nan-in, un maestro giapponese dell'era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen.
Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare.
Il professore guardò traboccare il tè e dopo un po' non riuscì più a contenersi. «E' ricolma. Non ce n'entra più! Si fermi.».
Rispose Nan-in : «Come questa tazza, tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua mente?».
Nel buddismo esistono varie tecniche di purificazione nello zen si preferisce praticare soltanto lo zazen e le arti do. Con l'arte lo spirito si mostra e si fa conoscere. Viene portato ad esprimersi, così impariamo a conoscere la nostra parte più autentica. Tali arti sono pratiche introdotte nella vita monacale per sviluppare un'attenzione e un affinamento delle proprie capacità (la calligrafia, la cerimonia del the, le arti marziali, etc.). Tuttavia queste arti, non sono differenti da qualsiasi altra attività quotidiana se questa è vissuta alla luce dell'insegnamento originale.
E' l'atteggiamento spirituale che trasforma la semplice azione in pratica.
Non occorre dedicarsi ad un'arte speciale, qualsiasi cosa può essere trasformata in una formidabile opportunità, come fare le pulizie di casa, o cucinare perla famiglia.
Nel momento in cui ci si libera da tutte le sovrapposizioni e si viene a contatto con la propria essenza mettendo in atto "il comportamento della Perfetta Sapienza", ecco che si comprende di colpo tutto. Poiché però non siamo in grado di liberarci da tutte le credenze e sovrastrutture mentali il processo è più graduale e lungo.
Eihei Doghen in Bussho (divenire natura di Buddha) insegna: "apprendere la natura di Buddha è conoscere se stesso. Conoscere se stesso è dimenticare se stesso. Dimenticare se stesso è essere riconosciuto da tutti gli altri esseri." Continua poi: Realizzare la natura di Buddha è realizzare la realtà del Tathâgata, cioè di "colui che è venuto così [com'è]", è far sì che la propria innata capacità di diventare un Buddha si attui. Quando il dio della primavera va incontro alla primavera, quando l'attendente del fuoco va in cerca del fuoco, quando gli esseri senzienti vanno alla ricerca di se stessi, di ciò che già sono, la Via si realizza, la propria saggezza innata si attua. l'illuminazione si basa soltanto direttamente sulla forza stessa dell'illuminazione. Tuttavia questo processo non si avvia automaticamente c'è bisogno di ripristinare la purezza originaria. "IlNirvâna sûtra afferma: 'Tutti gli esseri hanno la natura di Buddha, ma poiché essa è nascosta dall'ignoranza, non ottengono la liberazione."
La Via della liberazione passa anche attraverso la ricerca dell'indipendenzadalle cose e da se stessi. La dipendenza è attaccamento (e viceversa), e in definitiva è essere prigionieri di ciò da cui si dipende. Ogni dipendenza è un impedimento, è un ostacolo che impedisce il corretto rapporto di sé con gli altri e di sé con se stesso. Gli impedimenti creano paure e sono causa di indecisione. Il Sesto patriarca insegnò al suo discepolo Gyôshô: "L'impermanenza è proprio della natura-di-buddha,
la permanenza è proprio della mente che distingue tutti i fenomeni in bene e male".
"...i fiori cadono proprio quando per affetto vorremmo trattenerli e le erbacce crescono proprio mentre infastiditi le rifiutiamo."
"Quando il tempo viene, la natura di Buddha si manifesta. Ma l'attesa non è separata dal tempo che viene. Nel preparare il terreno, nello zappare, nel seminare c'è già il tempo che viene e noi possiamo contribuire ad anticipare o ritardare questo momento. La vera attesa è contribuire a creare il tempo che viene."
Uno dei temi che distinguono la meditazione zen rispetto a quella yoga è che nella pratica yoga c'è un fine quello dell'illuminazione, mentre nello zen non c'è neanche questo, si pratica senza uno scopo, se c'è uno scopo non è zen. l'illuminazione non è necessaria in quanto durante zazen si apre una finestra che ci porta temporaneamente "nell'altra sponda." "La pratica ed il risultato che ne deriva non sono due cose separate. Il fare zazen e il suo effetto, cioè il risultato del farlo, sono un'indivisibile unità. La pratica in quanto tale è il risultato. Dato che proprio nel fare zazen vi è contemporaneamente il risultato, non c'è punto d'arrivo" ( tratto da Bendowa), più si pratica più il sé si manifesta limpido in noi. Non si pratica per raggiungere un qualcosa che ci manca, per ottenere qualcosa; ma si pratica per permettere la manifestazione di ciò che si è ritrovare la propria natura originale, il "volto che si aveva prima di nascere." (Koan Zen). È il "me" che vive il "sé". È "L'essere che vive limpidamente il sé originale"
"Proprio nel momento in cui si fa zazen, unendo le mani, incrociando le gambe, in silenzio,
senza emettere suono, con la lingua aderente al palato, mentre la mente ed il cuore lasciano che il movimento della coscienza si manifesti cosi come e, soprattutto senza lasciarsene trascinare, in questo zazen si manifesta senza veli il vero modo di essere di tutto l'universo. Allora la persona stessa che fa zazen e corpo unico con ognuna e tutte le cose che sono nello spazio, manifesta il vero aspetto originale di ciò che e se stesso. Cosi la totalità della vera forma aumenta sempre più il suo splendore, questa lucentezza più e più genera l'attività della vera forma originale. Inoltre il mondo intero, inteso come luogo dove opera attivamente la vera sembianza, come pure tutti gli esseri viventi che vivono in esso, liberati dalle convinzioni particolari che vengono pensate in base alle abitudini ed alla mentalità, vedono distintamente come deve essere l'autentico modo originario di essere. " Bendowa Dogen
La meditazione zen è shikantaza: sedere senza far nulla!
Un maestro chiese un giorno a un suo discepolo che faceva zazen: " Cosa stai facendo?". Il discepolo rispose: "io non faccio nulla". Il maestro:"ma tu fai zazen!" il discepolo: "io non faccio neppure zazen!".
In questo star seduti c'è l'essenza dello Zen.
Inizialmente zazen è una pratica di sviluppo della concentrazione (morbida) e dell'attenzione. Successivamente quando siamo più maturi nella pratica, possiamo anche abbandonarci nell'ascolto della quiete dentro di noi e dell'energia ki che ci anima è il "calmo dimorare".
Nell'abbandono si sperimenta il ritorno all'origine. Nell'abbandono ci rigeneriamo, sperimentiamo l'estasi. ABBANDONO È FIDUCIOSO AFFIDARSI.
Un maestro zen disse al suo allievo:
"Se non ti avessi fatto lottare in ogni modo possibile per trovare il significato e non ti avessi condotto alla fine a uno stato di non-lotta e di non-sforzo da cui puoi vedere con i tuoi stessi occhi, sono sicuro che avresti perso ogni possibilità di scoprire te stesso."
"Coloro che praticano possono capire da sé se ottengono o non ottengono l'illuminazione, proprio come coloro che usano l'acqua sono in grado da sé di capire se quell'acqua è calda oppure fredda". Eihei Dōgen Zenji La comprensione avviene nel momento in cui la voce è già entrata nelle orecchie e si realizza il samâdhi."
"Dal momento del risveglio del cuore fino all'ottenimento dell'illuminazione, si pratica e ci si realizza insieme all'intera grande terra e a tutti gli esseri viventi." Questa liberazione è tale per cui giunti al termine del cammino si ha doshôji il superamento, l'andare oltre il ciclo di vita-e-morte. Detto in termini cattolici è l'ascensione al Cielo.
"Zazen è la porta reale della pace e della gioia, è la pratica che conduce alla pienezza del risveglio.
Il presente si fa presente con evidente profondità, qui non arriva la ragnatela dei condizionamenti e delle illusioni.
La pratica del risveglio per sua natura non produce contaminazione e attuandola e normalità quotidiana.
Questa è la mia preghiera: che coloro i quali compongono la nobile corrente dei praticanti,avendo a lungo imparato a tastoni attraverso imitazioni, non disdegnino ora il vero drago. Avanza con energia nella via diritta e radicale, rispetta l'uomo che tronca l'affidarsi al sapere e annulla l'affidarsi all'agire, entra nella compagnia di coloro che vivono l'essenza della via, eredita la pace di coloro che hanno praticato prima di te. Se a lungo compi questo, certamente diventi questo. Lo scrigno dei tesori si apre da se stesso, e tu riceverai e userai a volontà." Tratto dallo Fukanzazengi "La forma dello zazen per tutti" Eihei Dōgen